Le interviste

Approfondimento con Luigi Scordamaglia sugli scenari commerciali dell'agroalimentare italiano ed europeo - Intervista al Corriere della Sera

Luigi

Scordamaglia

Filiera Italia

Prima conseguenza di quello che sta avvenendo: “La globalizzazione che abbiamo idealizzato per anni è finita. Archiviamo da ora l’errata convinzione che l’Italia sia un giardino dove non si possa produrre più niente. L’accentuata separazione con l’est, innescata dalla crisi in Ucraina, determina la fine dell’ubriacatura populista artefice del concetto della “de-produzione felice”, attacca Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiere Italia, la fondazione che tiene insieme una parte del Made in Italy agroalimentare, la produzione agricola con Coldiretti, i grandi marchi della trasformazione fino alla distribuzione con l’insegna Conad e Carrefour.
Seconda: “Le catene internazionali degli alimenti vanno completamente ridisegnate. Mi consenta un parallelismo con l’energia: negli ultimi venti anni abbiamo accentuato la dipendenza dall’estero nelle forniture di gas. Altrettanto abbiamo fatto col nostro patrimonio bovino: siamo passati da 10 e 5 milioni di capi. Importiamo grano dall’estero per il 64% del nostro fabbisogno, il 53% del mais, necessario per latte e carne. Mi dica se tutto questo ha senso”.

Alt, nessuno poteva immaginare una crisi di queste proporzioni. Qui sono cambiati gli equilibri geopolitici in un battito di ciglia.
“Vero, ma ogni crisi è un’opportunità. Però dobbiamo smetterla di pensare che non possiamo sporcarci le mani nel produrre le cose che servono a tavolo. Subiamo la tensione perché arriva in una situazione già difficile in cui i raccolti di grano duro in Canada erano crollati, le esportazioni dagli Usa si erano ridotte. E immaginando lo shortage la Cina si è attrezzata nel primo semestre 2022 a sbloccare il 60% della domanda di grano. Il blocco dell’Ucraina significa lo stop del 30% del grano a livello mondiale, il 20% del mais, l’80% dell’olio di girasole. Da qui a qualche settimana non sarà più disponibile sui mercati”.

Però l’Europa stava ragionando su misure di sostegno in ossequio alla transizione ecologica.
“Qui la fermo. Bruxelles stava adottando una strategia miope di smantellamento della produzione agricola europea senza la minima valutazione d’impatto. Tanto che il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti aveva avvisato sui rischi per la nostra sicurezza alimentare. Calando la produzione zootecnica e di cereali si creano problemi di stabilità alimentare”.

Macron ha appena parlato di “sovranità alimentare: ma non stiamo rituffandoci nell’autarchia?
“Tutt’altro. Non possiamo delegare ad altri continenti la produzione degli alimenti, perché producono a basso costo, con minori standard ambientali con l’aggravante di aumentare il “food social gap”: man mano che si abbassa il potere di acquisto chi è meno abbiente mangia prodotti peggiori”.

Contestiamo anche l’accordo col Mercosur in Sud America?
“Si, perché privilegia l’automotive e i servizi e sacrifica l’agroalimentare. Qui dobbiamo riprenderci la sovranità. Assistiamo all’esplosione ai massimi del costo del grano. I futures a Chicago vengono scambiati a 1,134 dollari. Le ripercussioni sui prezzi saranno molto pesanti”.

Un’intesa con la gdo?
“Una parte per ora non sta ritoccando i listini strozzando tutta la filiera a monte. Così si fanno chiudere la Pmi e a rischio 40 mila addetti. Bisogna intervenire con scostamenti di bilancio sia sul lato delle bollette, sia sul lato dei consumi alimentari magari riducendo o azzerando l’iva su alcuni beni di prima necessità”.