Così gli Stati Uniti preparano la stretta agli ultra-processati

Un primo, fondamentale passo verso nuove politiche alimentari improntate alla salute e alla trasparenza.

Negli Stati Uniti – uno dei mercati alimentari più influenti al mondo – è partita una svolta senza precedenti contro i cibi ultra-processati. Le istituzioni federali, dal Dipartimento della Salute alla FDA (l’equivalente della nostra EFSA), hanno avviato un percorso per definire in modo ufficiale e condiviso cosa si intenda per “alimenti ultra-processati”. Il 24 luglio 2025 è stato infatti pubblicato un avviso pubblico (Request for Information) che invita cittadini, ricercatori e operatori del settore a fornire dati e contributi su criteri, ingredienti e metodi di lavorazione da includere in una definizione uniforme. Un primo, fondamentale passo verso nuove politiche alimentari improntate alla salute e alla trasparenza.
Si tratta di un segnale chiaro e potente: il cibo torna al centro delle politiche pubbliche in quanto fattore determinante per il benessere collettivo. È stato stimato da FDA che circa il 70% dei prodotti confezionati disponibili negli USA rientra nella categoria degli UPF e oltre il 60% delle calorie consumate dai bambini deriva da questi alimenti
Negli Stati Uniti, il dibattito sulla definizione di ultra-processato si inserisce nella più ampia strategia “Make America Healthy Again”, volta a promuovere scelte alimentari più sane e consapevoli, soprattutto tra i più giovani. L’obiettivo dichiarato è aumentare la trasparenza verso i consumatori e stabilire basi condivise per future politiche in ambito alimentare, con potenziali implicazioni per programmi pubblici come i pasti scolastici.
Una direzione che conferma quanto la qualità e l’origine del cibo siano sempre più centrali nel dibattito globale sulla salute pubblica.
Il Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., a capo dell’iniziativa “Make America Healthy Again” (MAHA), ha definito gli ultra‑processati come una “crisi sanitaria” che alimenta obesità, diabete e altre malattie croniche, descrivendoli in alcuni contesti come “veleno” per il consumo quotidiano.
Il Financial Times segnala che la pressione su aziende come Coca‑Cola per sostituire lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio con zucchero di canna è parte di un’agenda che mescola comunicazione politica e public health, che va proprio in questa direzione. L’approccio è stato definito da alcuni esperti come “regulation by shakedown”, ovvero pressioni informali che rischiano di aggirare i processi regolatori formali.
In questo scenario in continua evoluzione, la filiera agroalimentare italiana è chiamata a un ruolo senza precedenti. Perché la grande emergenza sanitaria globale parte anche – e soprattutto – dalla tavola, da ciò che ogni giorno mettiamo nel piatto. Come sistema Filiera Italia, continueremo a lavorare per essere un punto di riferimento in Italia, in Europa e nel mondo su questi temi.
A livello nazionale, insieme a Coldiretti, sosteniamo l’urgenza di avviare una campagna di educazione alimentare nelle scuole, per formare fin da piccoli una coscienza alimentare corretta: promuovere il consumo di alimenti naturali e limitare quello degli ultra-formulati – prodotti ottenuti con decine di ingredienti industriali, spesso additivi chimici, con alto contenuto calorico e scarso valore nutrizionale (per intenderci quei prodotti ricchi di chimica e prodotti rientranti nella categoria 4 della classificazione Nova e che nulla hanno a che fare con i nostri formaggi o salumi) – tra le principali cause dell’aumento della mortalità prematura nei Paesi industrializzati.
A livello internazionale, in vista del quarto incontro ad alto livello dell’Assemblea Generale ONU sulla prevenzione delle malattie non trasmissibili (NCDs), metteremo in evidenza – insieme a Coldiretti – il ruolo strategico del settore agricolo e agroalimentare italiano nella lotta alle malattie croniche, grazie a un’alimentazione sana, sostenibile e tracciabile.
“Chi produce cibo oggi ha una responsabilità cruciale nella prevenzione delle malattie non trasmissibili” – afferma Luigi Scordamaglia. “Siamo di fronte a una crisi sanitaria ed economica globale: oltre un miliardo di persone convivono con l’obesità, inclusi 159 milioni di bambini, con un impatto economico che potrebbe toccare i 4.320 miliardi di dollari entro il 2035.”
Un messaggio forte arriva anche da Coldiretti e Filiera Italia contro gli approcci semplicistici e coercitivi: dalle tassazioni su singoli nutrienti ai sistemi di etichettatura allarmistici, come il Nutri-Score. Strumenti che rischiano di imporre modelli alimentari standardizzati, penalizzando le culture e le tradizioni locali a vantaggio delle grandi multinazionali del cibo artificiale.

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