Legislazione

Meat sounding e cibi ultra-formulati: una minaccia alla riconoscibilità delle nostre filiere all’estero

“Non si abbassi la guardia sui cibi ultra formulati e non si ingannino i consumatori” – con queste parole, il nostro amministratore delegato Luigi Scordamaglia lancia un nuovo allarme su una battaglia che ci riguarda da vicino: quella contro la pratica del meat sounding, ovvero l’uso improprio di nomi e terminologie tipiche dei prodotti di origine animale per descrivere alimenti di origine vegetale o sintetica.

In un contesto globale sempre più confuso, dove i confini tra ciò che è autentico e ciò che è surrogato si fanno sempre più sottili, l’Unione Europea rischia di cedere a pressioni ideologiche e industriali che mettono in pericolo la nostra tradizione alimentare e la distintività delle nostre filiere agroalimentari, soprattutto all’estero.
Non si tratta di una battaglia contro l’innovazione o contro la libertà di scelta del consumatore. Si tratta, invece, di garantire trasparenza e correttezza. Definire “bistecca” un composto vegetale ultra-processato, o chiamare “latte” un liquido a base di mandorle e stabilizzanti, è un’operazione che confonde il consumatore, mina la fiducia nel sistema alimentare e indebolisce il legame tra nome, origine e qualità.
Questa distorsione comunicativa – già vietata nel settore lattiero-caseario – rischia oggi di propagarsi nel comparto della carne, in assenza di una normativa chiara e realmente vincolante. La proposta di vietare il meat sounding, in discussione in Parlamento europeo, va nella giusta direzione ma necessita di un rafforzamento urgente: nomi come “burger”, “salsiccia” e “bistecca” non devono diventare generici. Sono parte della nostra identità alimentare.
Mentre gli Stati Uniti, sotto la nuova spinta del Presidente Trump, iniziano una battaglia interna contro gli ultra-processed foods, promuovendo un ritorno a ingredienti naturali come il “vero zucchero di canna”, in Europa si assiste al paradosso contrario: si difendono alimenti ultra-formulati, ricchi di additivi e ottenuti in laboratorio, spesso presentati come alternativi ai prodotti naturali di origine animale.
La Dieta Mediterranea – riconosciuta patrimonio UNESCO – viene svuotata nella pratica, nonostante la retorica, per lasciare spazio a logiche industriali che puntano alla standardizzazione globale del gusto e della produzione, spesso a scapito della salute e della qualità.
La battaglia sul meat sounding non è solo una questione interna. All’estero, i prodotti italiani si riconoscono anche per la loro nomenclatura specifica, per la trasparenza degli ingredienti e per l’associazione tra nome e tradizione. Se questa chiarezza viene compromessa da una comunicazione ingannevole, si indebolisce anche il valore aggiunto del nostro export agroalimentare.
Le filiere italiane – strutturate, sostenibili e con un forte radicamento territoriale – rischiano di vedere i loro prodotti confusi con surrogati industriali privi di identità. In un mondo dove il “fattore reputazionale” incide sempre di più nelle scelte di acquisto, non possiamo permetterci ambiguità.
Come Filiera Italia, continueremo a difendere le nostre eccellenze e la trasparenza che ci contraddistingue. Alla prossima Quarta Riunione di Alto Livello dell’ONU sulla prevenzione delle malattie non trasmissibili, porteremo con forza questa posizione, cercando alleanze internazionali con Paesi che condividono il nostro modello alimentare: naturale, equilibrato, non industrializzato. Diciamo no a ogni forma di frode linguistica. Diciamo sì a una regolamentazione europea chiara, che tuteli la verità degli alimenti e protegga le nostre filiere.

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